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“Questa è la tua casa” sembra essere una possibile etimologia araba di Dahlak, ma il benvenuto le isole lo danno a fatica, dopo decenni d’isolamento dovuto alla guerra di liberazione dell’Eritrea dall’Etiopia, e pochi sono i turisti che sono riusciti a visitare queste perle del Mar Rosso. Il lato positivo è che il lungo isolamento ne ha preservato quasi intatta la natura e il fascino dell’inaccessibilità. Il mare, caldo tutto l’anno, permette la visita alle isole in tutte le stagioni. Solo luglio e agosto sono quasi insopportabili e allora più che mai un’escursione alle isole deve essere accompagnata da una bella scorta di ghiaccio. Le acque, le più produttive
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del Mar Rosso, pullulano di vita e basta una nuotata a ridosso della barriera corallina con maschera e pinne per avere l’impressione di un tuffo in un gigantesco acquario tropicale. Tartarughe, mante e delfini sono ancora comuni. Non gli squali, per la tranquillità di molti, per la delusione di alcuni. Quasi impossibile invece vedere i dugonghi (Dugong dugon), i mammiferi marini che diedero origine al mito delle sirene. Questi animali si nutrono di piante acquatiche che crescono in acque basse e fangose. Non è certo il tipo di ambiente normalmente apprezzato dai turisti, ma non è escluso che in futuro si sviluppino, come già succede in |
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Australia, delle attività ricreative quali il dugong-watching. Per chi non si accontenta dello snorkeling c’è la possibilità di farsi condurre dalle esperte guide dell’Eritrean Diving Center di Massawa nell’esplorazione di fondali ancora poco conosciuti. Da non trascurare sono poi i numerosi relitti appoggiati su bassi fondali o in parte emergenti, anche se per il momento sono chiusi al pubblico due dei relitti più interessanti, quelli delle navi italiane Urania e Nazario Sauro. Per le immersioni subacquee il periodo estivo è quello consigliabile a causa dell’acqua più limpida. Infatti la torbidità, dovuta soprattutto all’abbondante plancton, riduce la visibilità
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sott’acqua a pochi metri per la maggior parte dell’anno. Le isole brulle e prive d’acqua sembrano a prima vista poco attraenti, ma riservano molte sorprese: le gazzelle di Dahlak Kebir, abbastanza confidenti a causa della protezione accordatagli dai locali; le ricche popolazioni di uccelli migratori o nidificanti, i resti archeologici del villaggio di Dahlak Kebir; l’impagabile emozione d’imbattersi in scheggie d’ossidiana o in cocci di antiche anfore. Come alloggio per ora i turisti trovano un solo albergo, sull’isola maggiore, di fronte a Nocra, ma è prevista la costruzione di alcune altre strutture ricettive di scarso impatto ambientale. I grandi complessi |
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alberghieri invece mal si adattano allo spirito delle isole e si spera che non vengano mai costruiti. Immutata rimarrà in ogni caso la possibilità per i turisti più avventurosi e più organizzati di campeggiare su alcune isole deserte aperte al turismo e di vivere la robinsoniana esperienza di essere i soli abitatori di un mondo ancora incontaminato.
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Pochi anni fa una piattaforma di ricerche petrolifere si ergeva dalle acque tra Dur Gham e Dur Ghella, segno tangibile che l’Eritrea si aspettava dalle isole un doveroso e sostanzioso contributo allo sviluppo di una nazione povera di risorse. Il petrolio non fu mai trovato, ma rimase l’esigenza di uno sviluppo produttivo delle isole. Le Dahlak hanno le carte in regola per aiutare l’Eritrea soprattutto nel campo della pesca, attualmente in fase di grande sviluppo, e del turismo, sempre alla ricerca di mete nuove e di esperienze a contatto con la natura. Queste forme di sviluppo portano però con sé anche alcuni rischi. Lo sfruttamento delle risorse marine
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potrebbe aumentare al punto da mettere in pericolo l’industria stessa in caso di pesca eccessiva ed incontrollata, come è successo in tante aree del mondo una volta pescose. Le prime a farne le spese potrebbero essere alcune specie molto ricercate come gli squali o anche catturate accidentalmente con le reti, come le tartarughe marine e i dugonghi. Il turismo porta con sé rischi di inquinamento, legati alla costruzione di complessi alberghieri, rischi di locali danneggiamenti della barriera corallina, e rischi di alimentare una dannosa raccolta di organismi marini come coralli e conchiglie. Una seria gestione della pesca e |
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un’educazione dei turisti e delle popolazioni locali sono quindi fondamentali per una prospettiva di conservazione a lungo termine della biodiversità e della produttività delle isole, in vista di un’auspicabile sviluppo economico dei pochi villaggi rimasti. Il governo eritreo si è mosso fino ad ora in modo cauto ed ecologicamente sensibile quando si è trattato di progetti di sviluppo delle isole, e ne ha aperte solo poche al turismo, nell’attesa che studi più approfonditi indichino cosa è opportuno sviluppare e cosa è meglio preservare. Fondamentale è che almeno alcune isole, quelle più interessanti dal punto di vista biologico, siano lasciate incontaminate e
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vengano istituzionalmente e praticamente protette, sperando che impellenti necessità economiche non facciano passare in second’ordine la filosofia di uno sviluppo sostenibile. Già ai tempi degli etiopici esisteva un progetto per un parco nazionale marino che includeva alcune delle isole più vicine a Massawa, ma è sempre rimasto sulla carta. Ora esiste un grosso progetto finanziato dalla Global Environment Facility e messo in opera dal Ministero della Pesca eritreo e dal United Nations Development Program (UNDP) per studiare la biodiversità delle isole, del mare e della costa eritrea e per favorirne la conservazione e l’uso |
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sostenibile, unica speranza per salvare le Dahlak dalle sconsiderate distruzioni che hanno afflitto tanti altri arcipelaghi.
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